Il fascicolo aperto in Procura sui conti e sul grande calderone finanziario di MessinAmbiente nel febbraio scorso per capire le ragioni del “buco”da 25 milioni di euro, non è più solo un semplice “modello 45”, ovvero senza indagati o ipotesi di reato. Nel frattempo la situazione è cambiata, e dopo il primo step, compresi due maxi sequestri di atti nella sede di via Dogali, c’è adesso da registrare una richiesta di proroga delle indagini per altri sei mesi firmata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Roberta La Speme e accordata dal gip. E la proroga d’indagine per altri sei mesi è stata notificata a quattro persone che hanno avuto, o hanno, a che fare con MessinAmbiente. Si tratta dell’ex commissario liquidatore Armando Di Maria, del direttore generale Antonino Miloro, a quanto pare prossimo alla pensione, e dei funzionari Roberto Lisi e Filippo Marguccio, a capo rispettivamente dei settori Acquisti e Autoparco. Ci sono anche tre ipotesi di reato a loro carico, vale a dire truffa, peculato e falso ideologico. È la prima vera svolta quindi nell’inchiesta aperta dopo la clamorosa bocciatura del bilancio della partecipata, una decisione adottata della giunta comunale nei primi giorni di febbraio dopo un lungo confronto, non certo sereno, tra i soci. E proprio dopo quella clamorosa bocciatura le acque giudiziarie si mossero, con la Procura che decise di vederci chiaro dopo il clamore che suscitò la mancata approvazione del bilancio. In questi mesi, dopo i sequestri di atti, due consulenti dei magistrati hanno passato in rassegna le consulenze per oltre settecentomila euro, gli acquisti effettuati con procedure ritenute irregolari, i contenziosi, nonché le esposizioni col fisco che ammontano a svariati milioni di euro.
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