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Messina celebra
il “suo” S. Antonio

 A chi guarda con gli occhi dello scetticismo e del disincanto diventa difficile, se non impossibile, spiegare il significato di certi riti, di certi gesti, di certi legami che uniscono una comunità a un Santo. Ma quando uno cerca di non giudicare con l’alterigia sprezzante di chi giudica come superstizione popolare ogni atto o momento di fede, allora può comprendere il senso delle cose. La devozione verso Sant’Antonio, Santo non messinese ma che ha vissuto anche in riva allo Stretto e che di fatto è stato “adottato” dalla nostra comunità, ha mille ragioni, e nessuna in particolare. C’è un motivo storico ed è legato all’arrivo a Messina nel 1907 della prodigiosa statua del Santo di Padova, voluta fortemente da padre Annibale Maria Di Francia. L’anno dopo ci sarebbe stato il devastante terremoto ma, come spiegava padre Annibale, la preghiera è più forte di ogni miseria e di ogni catastrofe. Nella Messina ricostruita c’è il segno di quel sacerdote, devoto di Sant’Antonio, divenuto anch’egli esempio di santità. E da quel rapporto straordinario tra un Gigante della storia antica della Chiesa e il fondatore dell’Ordine dei Padri Rogazionisti, è derivato il legame indissolubile tra Messina e Sant’Antonio. Un legame che anche ieri, dopo la lunga Notte bianca (grande festa di popolo ma con finalità benefiche), si è concretizzato con la processione del Carro trionfale, una delle tradizioni religiose più sentite, e partecipate, non solo dai messinesi ma da migliaia di fedeli che ogni anno a giugno accorrono da varie località della Sicilia e della Calabria. Quel Carro, alto 7 metri, spinto da pellegrini scalzi, recante su di sè un “girotondo” di bambini vestiti da marinaretti, è il simbolo di una fede che resiste ai tempi, alle mode, allo scetticismo e al disincanto.

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