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Latitanza Mignacca
in quattro dal Gup
due in tribunale

Saranno giudicate con il rito abbreviato quattro delle otto persone arrestate nel novembre scorso con l’accusa di aver favorito la latitanza dei boss tortoriciani  Calogero e Vincenzino Mignacca, quest’ultimo suicidatosi per non finire nelle mani dei Carabinieri  durante il blitz in un covo nelle campagna di Lentini. Il 5 giugno prossimo dovranno comparire davanti al gup di Catania Sebastiano Galati Sansone, l’uomo che inconsapevolmente grazie ad una microspia posta sulla sua auto ha portato gli investigatori alla cattura dei boss,  Sebastiano Tilleni Scaglione, il vivandiere Franco Incardona e Giuseppe Caniglia figlio del proprietario del fondo in cui si nascondevano i Mignacca. Hanno scelto invece il rito ordinario davanti al Tribunale di Siracusaa, competente per territorio, Salvatore La Fornara e Carmelo Bontempo Ventre.  I fratelli Mignacca furono catturati dopo cinque anni di latitanza, decine di covi cambiati nelle province di Messina, Catania, Siracusa ed Enna ed una rete di fiancheggiatore fittissima.  Fedelissimi dei fratelli Calogero e Vincenzino Mignacca che in cinque anni hanno fornito assistenza,  li hanno riforniti di viveri e medicinali, li accompagnavano da un covo all’altro e sorvegliavano la loro latitanza. La svolta, dopo anni di inutili ricerche, grazie ad una microspia posta sull’auto di Sebastiano Galati Sansone. Una notte un Carabiniere in servizio d’ascolto ha riconosciuto la voce di Calogero Mignacca che si stava  spostando per raggiungere una masseria in cui si trovava il fratello Vincenzino. Nessun dubbio che si trattasse del boss di Montalbano elicona. Così all’alba dell’11 novembre scorso entrano  in azione gli uomini del Gruppo d’Intervento Speciale di Livorno. Con un vero e proprio blitz, sfondano la porta del casolare e bloccano subito Calogero. Poi si sente uno sparo. Nella stanza accanto Vincenzino Mignacca, da tempo gravemente malato si uccide sparandosi un colpo di pistola alla testa. Nel covo i Carabinieri sequestrano un vero e proprio arsenale e numerosi pizzini con i quali i boss comunicavano con i fiancheggiatori. Ora Calogero Mignacca è rinchiuso in un supercarcere dovrà sconterà le numerose condanne compresa quella all’ergastolo.

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