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Il crollo di un sistema politico-clientelare, la fine di un’era

Nella sua homepage, non aggiornata ormai da mesi, campeggia una frase di Alcide De Gasperi: «La politica è realizzare ». E poi c’è lui, Francantonio Genovese, ritratto accanto a Bersani, a Corradino Mineo, a Veltroni, a Franceschini, a Enrico Letta. Era l’uomo più forte del Pd non solo a Messina ma nell’intera Isola. È stato il candidato più votato alle primarie parlamentarie (“mister ventimila preferenze”), il leader regionale, colui che ha guidato l’Unione (gli ex Pds e Margherita) alla conquista del Comune di Messina. La sua formidabile “macchina da guerra”, durante le elezioni, era temuta, ammirata, invidiata. Per anni ha avuto in mano il pallino della politica messinese e siciliana. Ora quello che era il suo partito, lo ha mollato, consegnandone lo “scalpo”, come è stato detto durante la drammatica seduta parlamentare di ieri. L’ingresso in carcere di Genovese è l’immagine che simboleggia la fine di un sistema, quello nato con Nino Gullotti, lo zio di Francantonio, l’essenza stessa della Dc siciliana, il ministro tra i più potenti della Prima Repubblica. Anche allora era una “questione di famiglia”. Gullotti leader dello Scudo crociato e suo cognato, Luigi Genovese, marito di Angelina, senatore quasi “a vita” (dal 1972 al 1994), riconfermato a ogni elezione. Come a distanza di anni avrebbe fatto Francantonio, mettendo il suo potere al servizio del cognato, Franco Rinaldi, puntualmente rieletto all’Assemblea regionale siciliana. Uomo tutto casa e chiesa, cioè tutto Dc e famiglia. La grande famiglia, comprensiva di cognati e cognate, che ha fatto della Formazione professionale in Sicilia, secondo la ricostruzione emersa nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Messina, il suo regno, il suo terreno di caccia, la sua stessa rovina. Di Genovese, fino a qualche anno fa, si diceva vincesse le elezioni facendo distribuire pacchi di pasta casa per casa, come ai bei tempi del clientelismo “paterno” targato Dc. Si puntavano i riflettori sui suoi multiformi interessi immobiliari e soprattutto sul suo “conflitto di interessi” al momento delle Amministrative, quando decise di concorrere per la sindacatura, nella città invasa dai Tir, lui socio del gruppo che gestisce il traghettamento privato nello Stretto (la Tourist). Era il 2005 e Francantonio, in quell’occasione, sbaragliò il suo rivale, l’avvocato Luigi Ragno di Alleanza nazionale. All’epoca non si parlava ancora di formazione professionale. L’elezione di Genovese a Palazzo Zanca venne salutata come «segno di cambiamento generazionale » (aveva solo 37 anni) e ricordiamo gli attestati di stima firmati dai leader del Centrosinistra. Genovese era in buoni rapporti con tutti. Legato, a livello regionale, a Totò Cardinale, e a livello nazionale, a Beppe Fioroni, era riuscito a tessere una rete di collegamenti che gli consentivano di essere sempre al posto giusto nel momento giusto, veltroniano ai tempi di Veltroni, franceschiniano con Franceschini, bersaniano con Bersani. Poi, l’ultimo tentativo, in realtà andato a vuoto, renziano. In verità, i “renziani” storici di Messina non lo hanno mai riconosciuto come leader, gli hanno fatto sempre una dura fronda interna, e Renzi si è guardato bene dall’investirlo come suo punto di riferimento in terra di Sicilia. Però era sul palco con lui, durante il comizio a piazza Duomo del candidato sindaco Felice Calabrò, sconfitto nel giugno 2013 dall’oustider, il pacifista Renato Accorinti. Le inchieste già procedevano, così come i reportage in tv e nei settimanali. Il sistema “genovesiano” mostrava crepre sempre più profonde, fino al punto di rottura. La moglie, Chiara Schirò, finita ai domiciliari, i suoi più fidati collaboratori tratti in arresto, ma era evidente che le attenzioni erano tutte concentrate attorno a lui. Dalla richiesta di custodia cautelare all’ingresso in carcere sono passati lunghi mesi, Genovese ha aspettato il suo turno, già sapendo probabilmente che la rete di rapporti intessuti fino a ieri non valeva più, che la politica ha un effetto boomerang, che chi ti riveriva e faceva la fila alla segreteria di via Primo Settembre chiedendo favori e assunzioni, ora ha il pugnale in mano. Con quell’immagine, dell’ex potente che varca la soglia della Casa circondariale di Gazzi, finisce un’era a Messina e in Sicilia.

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