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Il delitto Marchese fu ordinato in carcere

   Il mosaico investigativo legato alla spietata esecuzione di Stefano Marchese, freddato al villaggio Annunziata nel 2005, si arricchisce di quattro tessere fondamentali. Alcune variabili di quel delitto efferato, rimaste nel buio a lungo, adesso riaffiorano. Consentono di spiegare aspetti poco chiari, soprattutto di dare nomi e volti ad altri protagonisti dell’eclatante spedizione punitiva. Fondamentali le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Barbera, esecutore materiale dell’omicidio, che ha indicato in Salvatore Irrera, 37 anni, detto “Carruba”, colui che il pomeriggio del 18 febbraio di 9 anni fa lo accompagnò in sella ad una Honda Transalp sul luogo del crimine. Già detenuto, gli agenti della Squadra mobile gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Stessa sorte è toccata a Marcello D’Arrigo, 51 anni, anch’egli rinchiuso nelle patrie galere, Considerati, invece, mandanti Giovannino Vinci, 74 anni, già sottoposto ai domiciliari (stesso beneficio concesso ieri per motivi di salute) e il figlio Rosario, 55 anni. Stando al provvedimento emesso dal gip Antonino Genovese, i quattro sono ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dell’omicidio di Marchese e di detenzione e porto illegale di armi da sparo. È toccato ai sostituti della Direzione distrettuale antimafia Vito Di Giorgio, Camillo Falvo e Maria Pellegrino, su input dal procuratore capo Guido Lo Forte riannodare i fili dell’assassinio, giustificato dalla gestione del racket delle estorsioni.

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