La Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado in seguito alla quale un uomo e la sua convivente erano stati condannati a sei anni di reclusione, ritenendoli responsabili di abusi sessuali nei confronti dei figli. Un’accusa tanto pesante quanto infamante, che, adesso è caduta. «Il fatto non sussiste », secondo il collegio presieduto dal giudice Tripodi, che si è espresso su un caso piuttosto delicato. Accolta la tesi difensiva sostenuta dall’avvocato Nino Cacia, nonostante il procuratore generale Melchiorre Briguglio, nel corso della sua requisitoria, avesse sollecitato la conferma del verdetto di primo grado. Inoltre, sono state dichiarate prescritte le ipotesi di maltrattamento. Bisognerà attendere novanta giorni per conoscere le motivazioni dell’annullamento della condanna. Tra le altre cose, la difesa sostiene che ad influire sulla decisione della Corte d’appello sia stata la produzione documentale di una sentenza definitiva emessa dal giudice per l’udienza preliminare Massimiliano Micali, in abbreviato, nei confronti di altri due soggetti estranei alla vicenda in esame, ma accusati in passato dalla sorella dei minori coinvolti nel processo in questione. I fatti risalgono al 2003 e sono stati portati a galla in seguito ad alcuni accertamenti della polizia. Gli imputati erano accusati di aver «maltrattato » i tre figli della donna, «sottoponendoli ad un regime di vita dolorosamente vessatorio, caratterizzato da continue minacce, lesioni, percosse e atti di violenza e, in particolare, di «averli abitualmente picchiati, costretti a subire umiliazioni e fare quanto ordinato ». Compresi i lavori domestici e la spesa, disinteressandosi delle loro necessità. L’uomo, tra le altre cose, avrebbe abusato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica dei minori (di anni 10), costretti a subire atti sessuali. In certe occasioni, dopo averli presi in braccio, veniva toccato loro il fondoschiena. Contestato anche l’uso della violenza per fare trascorrere ai figli la notte fuori casa, nonché la decisione di lasciarli da soli sul pianerottolo. Gli investigatori, nel corso delle indagini, interrogarono le presunte vittime che dissero a proposito della madre: «Stava tutto il giorno nella stanza da letto», «ci trattava male», «ci comandava... lava i piatti, butta la spazzatura... pulisci per terra... pulisci i vetri». Spesso ai minori veniva impedito di recarsi a scuola «per fare le cose di casa». Pare, inoltre, che la donna non avvertisse freni inibitori nel dare sfogo a rapporti sessuali con diversi uomini in presenza della prole. E che la donna, addirittura, obbligava il marito, poi morto, «a bere a quattro zampe in una tazza come si fa coi cani ». Tutte queste accuse, però, non hanno retto, e al termine del giudizio di secondo grado i due imputati sono stati assolti.
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