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La prima notte nella “Casa di Vincenzo”

Un tetto ed una coperta, un letto caldo e il calore umano dell'accoglienza. Un bagaglio scontato per chi conduce una vita “normale”, la più grande delle ricchezze per chi sfida giornalmente freddo e indigenza, senza una casa, con in mano solo stracci e polvere. La “Casa di Vincenzo”, per clochard e senza dimora, è una luce quando cala il buio: basta trascorrerci una notte, la prima in cui ha aperto le porte, per accorgersene. Le mura colorate hanno abbracciato ieri dodici persone: occhi stanchi, tante storie, la disperazione di chi cerca aiuto. Una brandina invece del marciapiede, un plaid piuttosto che un cartone, un comodo cuscino mentre lo zainetto sta sulla sedia. Tutto grazie ad un'Amministrazione sensibile che ha teso la mano agli ultimi, alla solidarietà dei volontari guidati da padre Francesco Pati, che a turno, due per giorno, si daranno il cambio nel presidiare gli ex Magazzini generali.

Il primo che bussa alla porta è Luigi Bertolini, classe 1968, barcellonese di nascita ma messinese d'adozione, da oltre trent'anni nel capoluogo. Ha lavorato come impiegato in un'agenzia di pompe funebri, adesso vaga per la città. Ama la vita, sa cosa significa patire le sofferenze della povertà ma ci tiene a sottolineare che non ha mai ceduto alla disperazione. E nemmeno all'alcol, mai. Il suo ricordo più sentito è dedicato a Vincenzo, il clochard scomparso a cui è stata intitolata la struttura: «Davvero un ragazzo per bene, era apprezzato da tutti - dice -. Dormiva tra piazza Fulci e la zona del Duomo, qualche volta andava a Milazzo. C'era sempre per chi aveva bisogno di un parola di conforto».

Passano i minuti e le stanze allestite si riempiono. Entrano un ragazzo della zona jonica e una giovane olandese, dopo un rapido pasto consumato alla stazione Centrale. Ci sono poi Aziz Mohamed e Mohamed Khaya, marocchini, entrambi provenienti da Roma. «Cerco lavoro, purtroppo non ho trovato niente - ci ha raccontato Aziz -. Continuerò a girare un po', altrimenti tornerò in patria». Mohamed invece è arrivato nel nostro Paese nel 1999, ha vissuto tanti anni nella Capitale in condizioni spesso precarie. E' sorpreso della realtà che ha trovato in riva allo Stretto: «Nel Lazio spazi di questo genere si rendono disponibili solo se partiti o movimenti occupano dei luoghi abbandonati, è bellissimo che un Comune pensi a chi sta peggio».

Chi conosce bene la realtà messinese è Leonardo, rumeno che ormai da tempo staziona in città. E' divertito narrando aneddoti, si arrabbia se pensa a chi ha tentato di sfruttare la sua fatica, quando a Palermo si occupava di campi e bestiame per 200 euro al mese. Ha girato l'Europa, ma è sicuro: «Il popolo messinese è il più solidale che abbia mai incontrato, anche chi non ha niente ti dà una mano. A Messina devo la vita, davvero». Con lui potresti stare ore a parlare ma è ora di spegnere la luce. Magari andremo avanti domani, assiepati nei gradoni di piazza Crisafulli, dove spesso passa le giornate con altri amici.

Si parla, si scherza, ci si confida. Ed emerge tutto l'orgoglio di padre Francesco Pati, che con la Caritas ed alcune associazioni di volontariato si occupa della gestione di questa struttura e di altre cittadine che praticano la carità e l'assistenza. «Questo spazio è davvero ciò che mancava, un rifugio di sicurezza oltre che un riparo per la notte - ha detto il sacerdote -. E' un luogo che non ha un regolamento ferreo, per questo accessibile in qualsiasi momento, che ci permette di accogliere persone che versano in ogni tipo di condizione (anche ubriachi per intenderci, ndr). Si può entrare ad ogni ora. C'è ancora tanto da migliorare ma il primo importante passo è stato compiuto».

Prima di spegnare la luce c'è tempo per il racconto di Lucio (nella foto di Alessio Villari con Renato Accorinti), che da queste parti è un'autentica mascotte: è cresciuto passando da un collegio all'altro, è un cuoco capace, disposto a fare anche altro per autosostenersi: «Per me questa è una cosa fantastica, posso smettere di dormire sulle navi». Si volta verso la brandina al suo fianco dove è appisolato il sindaco Renato Accorinti, che ha deciso, per questa notte, di dormirgli accanto. «Grazie Renato», gli dice. «Il risultato non è personale ma di tutti quelli che lo hanno reso possibile - sussurra il primo cittadino -. Politicamente è vero che il traguardo lo sento mio più di altri, perché porta in dote un percorso lungo che va dalle serate passate alla Stazione Termini fino in India, dove le macchine se sbagliano una manovra possono uccidere persone che si trovano ai lati della strada. Andiamo avanti con sobrietà, cercando di mettere in pratica il cambiamento in cui crediamo».

Il via vai di persone che anima la serata si spegne di botto. Ecco il silenzio. Il riposo nella “Casa di Vincenzo” viene interrotto dal profumo di caffè che bacia il giorno, svegliando tutti prima che lo facciano gli operatori. Sono le 7, un sorriso vale ogni bene che il mondo possa regalare: non è un sogno.

EMANUELE RIGANO

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