La paura dura sette secondi o poco più, giusto il tempo di aprire gli occhi di soprassalto e verificare che sia tutto ok. Sono le cinque passate della notte, il buio diventa luce ma non è l'alba né tantomeno l'abat jour: il display del telefonino ci informa che siamo vivi. Trema la terra, una volta il passo successivo sarebbe stato afferrare la cornetta e verificare che ai nostri familiari non fosse accaduto niente, al diamine l'ora tarda. Oggi no: nell'era dei social network il primo pensiero è condividere lo stato: «terremoto, chi lo ha sentito?», «da me è vibrato tutto», «ho letto, quarto grado della scala Richter». I post si susseguono, così come i tweet: «Tutti svegli, notte di Natale anticipata», oppure «bene, così chi si sveglia presto per andare a lavorare si sente meno solo». Pochi tornano a letto, altri aspettano la scossa di assestamento che porta con sé un'altra raffica di commenti “intimoriti”.
Nessun morto, nessun ferito, allora via libera al sarcasmo che altrimenti sarebbe stato cordoglio. La voglia di comunicare è più forte della forza della natura. C'è chi attribuisce il movimento tellurico al vicino di casa che ha mangiato pesante a cena o all'amico che ama i fagioli. Altri commenti ironici: «il terremoto mi ha scosso». Chi non lo ha avvertito cerca comunque il proprio spazio social, d'altronde è quasi una legge della “vita 2.0”: esserci, indipentemente da come esserci. Dal classico «dicono ci sia stato il terremoto», al più coinvolto «ho continuato a dormire, l'ho saputo dagli amici di facebook», fino all' autocelebrativo e dialettale «sugnu l'unicu chi non sintiu nenti». La fidanzata ne approfitta per ricordare al compagno dormiglione che «non si svigghia mancu chi cannunati», mentre l'amante della programmazione satellitare si interroga: «Ma se torno indietro con il “Mysky” lo sento?».
Sette secondi: pochi o molti per un terremoto? Quanto basta per prendersi la scena del web almeno per 24 ore. I “rapporti” temporali non sono poi inadeguati se si pensa allo zio Michele o al comandante Schettino, che hanno riempito bacheche e profili di mezza Italia per mesi: poco importava che di mezzo ci fosse la vita di un'adolescente o quelle di incolpevoli crocieristi. Tutti collegati a commentare? C'è chi ritiene «bello condividere la paura con così tanta gente», chi sottolinea che «se fossimo stati giapponesi, visto che in Asia ce n'è uno ogni mezz'ora, avremmo mandato Fb in tilt». Ilarità ma anche rispetto. In molti ricordano e associano il sisma di lunedì mattina a quello che nel 1908 distrusse Messina, tra il timore di un nuovo disastro e le analisi “sociologiche” su un evento naturale che ha cambiato per sempre la nostra città. E' l'ora di pranzo e sui social ci si chiede: «Ma u dissi l'Rtp?». «Cettu cu dissi, ci fu piddavera».
Con le conferme dalla tv l'argomento terremoto può sbarcare anche in “politica”. E siccome tutto ciò che per ora accade a Messina viene associato al realizzato o meno “cambiamento dal basso”, sarcasticamente il popolo di facebook si pone un quesito: «E' colpa di Accorinti se c'è stato il terremoto o è merito suo se siamo sopravvissuti?». Ci sarà tempo per trovare le risposte. Alle 21 della sera, quando pian piano si torna a parlare di cenoni di Natale, ultimi acquisti da mettere sotto l'albero e del freddo che mette i brividi, proprio quando tutto sembra alle spalle il silenzio viene interrotto da chi con il sorriso sulle labbra non vuole dimenticare: «Siccome non lo ha detto nessuno, sappiate che c'è stato un terremoto». Già, ed io che pensavo fosse la vibrazione del cellulare.
Emanuele Rigano