Non solo i migranti scampati alla morte in mare e alla ricerca di una vera vita. C’è molto altro, nella città in cui nessuna frontiera della disperazione o del degrado è mai l’ultima. In fondo alla comunità, anzi a fondo, c’è l’angoscia di cui sempre più brulica il Tirone, l’edificio del Terzo ordine francescano che fa da facciata al borgo, popolato di stranieri e qualche italiano storditi dalle privazioni o dall’alcol, in un autunno che già morde. Tra di loro c’è una madre che cerca proprio qui, che disperato controsenso, di difendere tre bambini dai chiodi della miseria, il freddo e le malattie. Ne ha già raccontato, più volte, la Gazzetta, di questo che di fatto, sinistramente, è l’unico dormitorio “comunale” sempre aperto, ma che i poveri italiani scartano come la peggiore delle ipotesi per via della sporcizia e del gran freddo per gli infissi spalancati. Sotto Natale 2011, gettammo lo sguardo tra le vite di Alì il somalo e Fiorello il romeno, una serie di esistenze accucciate in un contesto già allora impossibile. Ma in quanto ci siamo imbattuti ieri, seguendo il nucleo decoro della polizia municipale, mobilitato da interrogazioni e denunce sul mare di spazzatura che fa la barba all’edificio, c’è l’ennesimo superamento di ogni limite sopportabile. Si leva un grido: si rischia una qualche tragedia di quelle che l’informazione dell’era digitale cattura in un minuto e divora in mezza giornata. Qui c’è l’apice della gente che affolla le mense dei poveri: si rivolgono alla Chiesa, ma di giorno e basta. Di notte ci sono solo le stelle e le folate di gelo e di tanfo di immondizia, gli insetti e i topi che s’insinuano dalle finestre aperte e dai mille varchi lungo i corridoi diroccati, in locali dentro ai quali tutto convive con tutto. La più grave “scoperta” è che al terzo piano, quello in uso ai romeni mentre i primi due sono per lo più appannaggio dei polacchi, a lottare col freddo ci sono anche tre bambini: 1, 8 e 12 anni, dalla neonata alla più grande, in mezzo un maschietto. Ieri alle 10, mentre i nostri bambini erano a scuola o all’asilo, loro tre stavano distesi sull’unico lettone, indosso i giacconi, il piccolino rinserrato in un piumino, stesi attaccati l’un con l’altro, a farsi caldo e riannodare un filo spezzato di sonno. La mamma, una donna romena anche abbastanza orgogliosa, fa notare i lavoretti fatti dal marito per fare una chiusura alla porta e alla finestra, spiega che il cibo ai piccoli non manca e le medicine nemmeno, che la Caritas li aiuta. Non può, però, spegnere come una fiammella il cervello di chi vede il raggelante contesto. Non solo lo squallore e il gelo che tutto attanagliano in pochi metri quadri, con l’inquietante partecipazione di una bombola del gas, ma anche l’ovvia constatazione che tre bambini non possono vivere qui, e così, senza diritti né scuola, sia pure con il conforto dei genitori. L’ennesima mobilitazione di cui bisogna solo dire grazie al nucleo decoro, servirà a rimuovere le decine di tonnellate d’immondizia che hanno fatto scattare la protesta esasperata da tutti i palazzi circostanti. A tal proposito, andrà ripetuta l’imponente derattizzazione fatta ai primi d’ottobre. Ma l’emergenza più drammatica resterà comunque lì dentro, incarnata dai tre fratellini in quella stanzetta all’ultimo piano, a meno che la Chiesa non compia uno di quei miracoli che le sono ancora possibili.
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