La pagina è ancora quasi bianca, c’è appena qualche appunto. La morte del prof. Giuseppe Longo, il gastroenterologo che si sarebbe suicidato iniettandosi due fiale di cloruro di potassio la sera del 20 luglio nella sua villa estiva di Mortelle, sul litorale nord di Messina, si specchia appannata in un’inchiesta ancora aperta, e su più fronti, gestita dal sostituto procuratore Antonella Fradà. Ma non solo. La morte di un uomo che per anni è finito, come lui stesso ha scritto in una lettera inviata al nostro giornale un mese prima della fine, nel «tritacarne mediatico- giudiziario», è inevitabilmente collegata nell’immaginario di tutti all’omicidio della “città nascosta”, la morte del prof. Matteo Bottari, l’endoscopista assassinato la sera del 15 gennaio 1998 a un semaforo del viale Regina Elena, un caso clamorosamente irrisolto dopo quindici lunghi anni di piste sbagliate e mezze verità mai confermate. Il prof. Longo venne soltanto «formalmente sospettato » di essere il mandante dell’omicidio Bottari, ma poi scagionato pienamente e mai accusato formalmente. Ma perché, un uomo dal carattere forte e dai toni decisi, battagliero, come il prof. Longo, che durante tutte le udienze del primo grado al processo “Panta Rei” sulle infiltrazioni della ’ndrangheta all’Università di Messina - che lo vide poi completamente scagionato dalle accuse principali e infamanti -, prendeva con precisione maniacale molti più appunti perfino dei suoi avvocati, è sprofondato in uno stato di prostrazione tale - riferito dalla moglie Patrizia Zappia in una lettera al nostro giornale -, tanto da decidere di chiudere per sempre la pagina della sua vita un sabato sera d’estate, da solo, nella casa al mare?
L'articolo completo di Nuccio Anselmo lo trovate sul nostro giornale
Caricamento commenti
Commenta la notizia