Nel 2008 i loro mariti, Giuseppe Buzzanca e Francantonio Genovese, si sfidavano per la poltrona di sindaco di Messina. Oggi le due ex “first ladies” Daniela D’Urso e Chiara Schirò si ritrovano accomunate dalla stessa misura cautelare, finite agli arresti domiciliari assieme ad altri otto personaggi coinvolti in quest’ennesima vicenda siciliana di presunti sprechi e ruberie. Un’inchiesta, quella coordinata dalla Procura della Repubblica di Messina, che non fa altro che confermare quello che tutti, o quasi, già sapevano: la Formazione professionale in Sicilia è un cancro che, anziché incoraggiare e dare prospettive a giovani e disoccupati, è servito a erodere ingentissime risorse pubbliche, utilizzate per fini privati e per mantenere in piedi gigantesche macchine del consenso elettorale. Sarebbe emerso un sistema di scatole cinesi, fatto di società in gran parte riconducibili alla famiglia Genovese: “al timone”, secondo la Procura, uno degli uomini più fidati del parlamentare nazionale del Pd, Elio Sauta, che, dall’ordinanza del Gip, appare come il vero “architetto” di tutte le condotte illecite e distrattive. Un sistema, stando alla ricostruzione degli inquirenti, fondato sul sovradimensionamento dei costi: gli indagati acquistavano beni e servizi, apparentemente destinati allo svolgimento dei corsi professionali, da ditte e aziende riconducibili a loro stessi, o da loro controllate, a prezzi ampiamente superiori (spesso di oltre il 100 per cento) a quelli di mercato. I fondi servivano per foraggiare clientele elettorali e capricci privati. Colpisce anche la “trasversalità” del fenomeno. Infatti Sauta e l’ex assessore Melino Capone (considerato il “deus ex machina” dell’Ancol, assieme a Daniela D’Urso), l’uno nel Pd e l’altro iscritto ad Alleanza nazionale, avrebbero stabilito insieme le strategie per contenere i danni, dopo che l’inchiesta era già stata avviata. Le “coperture” d’un tempo, però, sembrano non esserci più: a Messina e in Sicilia sta crollando un intero sistema.