La bomba, nell’aria da mesi per via delle numerose inchieste giudiziarie sul mondo della formazione professionale a Messina, è deflagrata alle prime ore della giornata. I primi lanci d’agenzia riferivano del clamoroso arresto di Chiara Schirò e Daniela D’Urso, rispettivamente mogli del deputato nazionale del PD Francantonio Genovese e dell’ex deputato regionale di AN Giuseppe Buzzanca entrambi già sindaci di Messina. Ma la rosa degli arrestati nell’operazione “Corsi d’oro” condotta da Guardia di Finanza e Polizia è ben più ampia. Ai domiciliari sono finite dieci persone alle quali vengono contestate i reati di associazione a delinquere, peculato, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da te centri di formazione professionale, la Lumen, l’Aram e l’Ancol. L’arresto, oltre che per Chiara Schirò e Daniela D’Urso, è scattato per l’ex consigliere comunale e presidente dell’Aram Elio Sauta, per la moglie Graziella Feliciotto, per l’ex assessore comunale al lavoro ed alla viabilità Melino Capone, per anni delegato regionale dell’Ancol ed il fratello Natale, e ancora per Concetta Cannavò, della lumen e fino a pochi giorni fa tesoriera della segreteria provinciale del PD, Natale Lo Presti, vice presidente dell’Aram, Nicola Bartolone e Giuseppe Caliri.
Sospeso per due mesi dalle funzioni il funzionario dell’Ispettorato del Lavoro, Carlo Isaja per violazione del segreto d’ufficio. Avrebbe svelato a Sauta un’imminente ispezione amministrativa da parte del suo ufficio. Le indagini scattarono nel 2007 dopo la presentazione di un esposto alla Procura della repubblica da parte dell’Ancol Nazionale che segnalava irregolarità nella gestione dell’Ancol regionale da parte di Capone. In 5 anni sarebbero spariti 13 milioni di euro, finanziamenti regionali che l’ex assessore comunale avrebbe gestito in maniera disinvolta elargendo stipendi d’oro ai genitori, al fratello, alla cognata ed a tre cugini. Fra gli assunti a libro paga dell’Ancol anche la moglie dell’ex sindaco Buzzanca, Daniela D’Urso. L’inchiesta si è poi allargata a macchia d’olio ad altri enti. Non solo a quelli di area AN come l’Ancol ma anche sotto l’influenza del PD come l’Aram e la Lumen ritenuta vicina all’on Genovese. Per mesi la Guardia di Finanza ha spulciato i bilanci e migliaia di fatture riconducibili ai tre enti di formazione ed a tutte le società con le quali erano in affari. Ne è venuto fuori un quadro assolutamente preoccupante. Ancol, Aram e Lumen avrebbero beneficiato di contributi regionali e statali per milioni di euro deviando tali risorse pubbliche per fini che non avevano niente a che fare con l’attività degli enti. Il meccanismo era semplice. Venivano create società fittizie che s’interponevano fra la Regione e l’ente di formazione. Società spesso riconducibili a familiari o persone vicine ai responsabili degli enti stessi che avevano il solo scopo di far gonfiare a dismisura i costi. L’esempio più eclatante è quello dei contratti di locazione. Gli enti affittavano locali per le loro attività da società che appartenevano a loro familiari o prestanome. Naturalmente gli affitti erano esorbitanti e venivano pagati con i finanziamenti pubblici. Spesso in quei locali poi non avveniva alcun tipo di attività istituzionale. Stesso discorso valido per le forniture. Erano inesistenti o parzialmente inesistenti e basate su fatture false. Anche in questo caso a fornirle erano società fittizie. La truffa dal 2007 ad oggi ammonta a decine di milioni di euro. Numerose le persone iscritte nel registro degli indagati compresi i tre enti di formazione professionale.
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