Ha vinto il “sognatore di cose concrete” contro la corazzata del Centrosinistra. Messina ha il nuovo sindaco ed è quello che non t’aspetti, quello su cui non avresti scommesso neppure un euro qualche mese fa, quando con quell’aria da monaco tibetano, stampata su un volto segnato dal sole delle tante giornate trascorse a insegnare atletica ai ragazzi nel campo Santamaria, annunciò la sua “discesa in campo”. Renato Accorinti è il ciclone che ha travolto le armate, in verità malmesse, del “risiko” targato Pd-Udc-Megafono-Dr, che ha scompaginato gli schemi della vecchia politica, che ha superato un avversario degno e leale, quale Felice Calabrò, e che ora minaccia di sovvertire “l’ordine costituito” a Palazzo Zanca. Una svolta storica, per Messina, qualunque sia il giudizio sugli eventi che l’hanno determinata. Facciamo un salto all’indietro. Era l’inizio del 2013 (esattamente il 19 gennaio) quando Accorinti, il pacifista Accorinti, il “nopontista” Accorinti, forte di un sostegno di tremila firme si presentò alla città, nel salone delle bandiere del Comune, come aspirante sindaco. I sondaggi, a quell’epoca, lo davano al 7-8 per cento. Il Pd preparava, tra le immancabili polemiche, le sue primarie di marzo, che hanno consegnato lo scettro della candidatura a Felice Calabrò ma che, nello stesso tempo, hanno spaccato il partito (e c’è chi, in quei giorni, ha sottovalutato la portata di quelle divisioni). Il Centrodestra, rimasto con il cerino acceso in mano, dopo la controversa esperienza della giunta Buzzanca, cercava il candidato più idoneo, poi trovato (almeno così sembrava) nella figura del parlamentare Enzo Garofalo. In primavera inoltrata i soliti sondaggi davano per certo un ballottaggio tra Calabrò e Garofalo. Accorinti non ha avuto bisogno di far nulla, se non di mettere se stesso al centro di un progetto diventato via via trasversale. «La mia storia, le mie idee, i miei valori, le mie battaglie », è stato il mantra ripetuto in questi mesi. E la gente ha cominciato a fidarsi. Il movimento “Cambiamo Messina dal basso” ha preso piede, intercettando quelle istanze di cambiamento (spesso confuse con il vento dell’antipolitica, che è ben altra cosa) che per qualche periodo erano sembrate di proprietà esclusiva del movimento Cinque Stelle. Accorinti si è sostituito a Grillo, senza essere “grillino”, ha cominciato a mietere consensi tra le parrocchie e i centri sociali, sui social network e nelle piazze. E si è contornato di professionisti di qualità, scelti poi nella sua squadra: dall’economista Guido Signorino al presidente del Centro per il volontariato Nino Mantineo, dal direttore del Cnr-Itae Gaetano Cacciola all’etnoantropologo Sergio Todesco, dagli ingegneri Filippo Cucinotta e Sergio De Cola alla docente universitaria Patrizia Panarello e allo storico ambientalista Daniele Ialacqua. Ora in molti si stupiscono di quel 52,67 per cento, di quei quasi 48 mila voti (ventinovemila in più rispetto al primo turno!) conseguiti, di quella “corazzata Potemkin” sbrindellata, con il suo “agnello sacrificale”, l’ottimo Felice Calabrò, fermatosi al 47,33 per cento. Ma è una sorpresa solo per chi non guarda a ciò che è accaduto in questi ultimi mesi, per chi non è riuscito a cogliere gli umori più profondi della città, per chi ha sopravvalutato la forza degli “apparati”, per chi non ha compreso quanto sangue sia uscito dalle ferite inferte a Messina e quanta sia la voglia di riaffermare il diritto alla speranza proprio nel momento più buio della nostra storia recente. La città del Ponte sullo Stretto ha scelto il “no-Ponte”, titolano i media nazionali. Ma è una visione riduttiva. Certo, Accorinti è diventato famoso in tutt’Italia per le sue magliette con un unico slogan, però egli stesso ha saputo liberarsi da questa “maschera” che avrebbe potuto imprigionarlo. E anche se ieri è entrato per la prima volta a Palazzo Zanca, da sindaco, con indosso la divisa “nopontista”, si è capito benissimo che anch’essa si è trasformata in una bandiera del passato. Oggi l’uomo delle mille battaglie solitarie è colui che indosserà la fascia tricolore, che dovrà rappresentare tutti i messinesi (anche quelli che al Ponte ci credevano e che ancora adesso lo vorrebbero), che dovrà fare gli interessi anche dei tanti che non lo hanno votato o che hanno deciso di non recarsi alle urne (sono più di centomila aventi diritto, una cifra impressionante). Si è conclusa, dunque, nel modo più inatteso la lunga tornata elettorale che ha scompaginato gli equilibri della politica messinese, che ha confinato in un piccolo recinto il Centrodestra, che ha consegnato al Centrosinistra un’abnorme maggioranza in consiglio comunale ma gli ha tolto la poltrona più ambita. Dopo tre commissariamenti nell’arco dell’ultimo decennio, si apre davvero una nuova stagione. Ora il “sognatore” è atteso alla prova dei fatti. Ed è un sfida molto più difficile di quella vinta alle urne.
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