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Università, tutti contro
la legge Gelmini

Entra nel vivo la corsa alla prima poltrona dell’Ateneo: mancano infatti appena otto giorni al 23 maggio, la data del voto al quale è chiamata l’Università in tutte le sue componenti. Una scelta importante, che individuerà la guida alla quale la prima istituzione pubblica cittadina si affiderà per i prossimi sei anni. In cinque si contendono il consenso dell’ampio elettorato: sono il prof. Giovanni Cupaiuolo, 64 anni, direttore del Dipartimento di Civiltà antiche e moderne, il prof. Giacomo Dugo, 63 anni, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, la prof. Adriana Ferlazzo, 64 anni, docente di Fisiologia Veterinaria, il prof. Pietro Navarra, 44 anni, docente di Economia del Settore Pubblico, e il prof. Antonio Romano Tassone, 61 anni, ordinario di Diritto Amministrativo. Tutti e cinque ieri sera hanno preso parte al confronto organizzato da Rtp nell’ambito di una puntata speciale di Oltre il Tg, andata in onda dall’auditorium della Ses. Due ore di serrato dibattito, condotto da Saro Pasciuto con la partecipazione del direttore della nostra testata televisiva e capocronista della Gazzetta Lucio D’Amico e del giornalista della Gazzetta Mauro Cucè, sulle tematiche più attuali che riguardano il mondo accademico, dalle riforme nazionali alle specificità locali. La prima linea di confronto, sulla quale hanno anche iniziato a delinearsi le differenze rimarcate nei rispettivi programmi, ha riguardato la configurazione ideale alla quale puntare nell’organizzazione accademica. Per Cupaiuolo l’obiettivo è la “normalità”, cioè un Ateneo «improntato al rispetto delle regole nel quale tutti concorrono secondo il ruolo agli scopi d’istituto». La Ferlazzo ha posto l’accento sul «recupero dell’immagine, della correttezza e della certezza delle regole». Navarra ha invece immaginato un’Università «pronta a cambiare» e per farlo «ogni componente dovrà sentirsi protagonista». Mentre Romano Tassone ha parlato di «comunità unificata da un disegno identitario forte, fondato su un bacino culturale più che d’utenza». Un «laboratorio di sviluppo territoriale», l’Ateneo di Dugo, nel solco di un’esperienza quarantennale «nei rapporti con il territorio che produce ». E proprio il rapporto con il contesto sociale, il tessuto urbano e umano sul quale l’Universitas Studiorum Messanae ha costruito la sua storia centenaria, è stato al centro dell’intervento di Lucio D’Amico, che ha sottolineato l’analogia temporale ma soprattutto sostanziale tra le due elezioni alle quali è chiamata la comunità messinese: da un lato quella del rettore, dall’altro, quella della prossima amministrazione comunale. In entrambi i casi, scelte determinanti per il futuro prossimo di una città in profonda crisi economica ma non solo. Dunque, è indispensabile che l’Università leghi i suoi percorsi di crescita alle esigenze del territorio, senza chiudersi nella letteraria torre d’avorio. E così per Dugo, l’Università può anche spingersi a «correggere gli errori» nelle scelte gestionali (l’esempio fatto è stato quello del percorso della tranvia), mentre Cupaiuolo ha auspicato la creazione di una «consulta stabile con gli ordini professionali, le diverse categorie, i centri di ricerca». Navarra ha invece rilevato l’urgenza di attribuire valore appropriato «alla conoscenza come fattore di sviluppo e al processo che trasfor ma la tecnologia in prodotto» . E deve essere l’Università a comunicare tale valore». Romano ha poi posto in evidenza il ruolo di «affaccio fisico e culturale», dell’Ateneo verso il mondo, mentre la Ferlazzo ha delineato un percorso che conduca alla definizione di corsi di laurea, master e dottorati dietro confronto con le istanze provenienti al tessuto locale. E nel corso della serata non è mancato l’intervento del rettore in carica, Franco Tomasello, che, intervistato da Maurizio Licordari, ha rinviato il bilancio alla fine naturale del mandato, il 30 settembre, spiegando che tale coesistenza di due rettori, uno eletto e l’altro in carica, «è prevista dallo Statuto, che fissa le elezioni prima della scadenza con lo scopo di garantire la transizione e far dialogare i due rettori ». Uno spunto utile per la domanda posta da Mauro Cucè, che ha innalzato non poco la temperatura del dibattito: ai candidati è stato infatti chiesto quale decisione avrebbero adottato se si fossero trovati in una condizione simile a quella nella quale si è trovato Tomasello, e cioè con una condanna di primo grado per fatti connessi alla funzione. Dugo: in Italia ci sono tre gradi di giudizio, e ognuno decide come meglio crede. Ferlazzo: alcune scelte difficili vanno prese indipendentemente dal fatto che ci si creda o no colpevoli. Navarra ha affermato che si sarebbe dimesso, così come Romano «anche se – ha precisato – una scelta contraria può anche essere dettata da motivi non personali ». Cupaiuolo è andato oltre: «Io – ha spiegato – mi sarei dimesso non ora, ma al momento del rinvio a giudizio. Così invece è stato come se tutta l’Università fosse andata sotto processo ». Gli aspiranti rettori sono stati poi invitati da Cucè a pronunciarsi sulla riforma Gelmini, sulla figura del ricercatore a termine, sui rischi di privatizzazione per la presenza di due membri esterni nei consigli d’amministrazione, e, di riflesso, sulle modifiche ritenute possibili allo Statuto messinese. Per Ferlazzo,, il nodo è trovare il modo di far convivere la normativa con le esigenze dei singoli Atenei, valutando con attenzione il contenuto e decreti attuativi, mentre per Navarra, se da un lato la riforma Gelmini comprime l’autonomia, dall’altro lo Statuto messine restituisce al Senato un ruolo di rilievo, anche se potrebbe essere migliorato con una «maggiore partecipazione democratica». Romano invece non vede rischi di privatizzazione ma di aziendalizzazione ai quali comunque l’«Università sa difendersi». Cupaiuolo ha da parte sua puntato il dito sulla Conferenza dei rettori, per avere accettato una legge che ha creato Atenei di serie A, che fanno ricerca, e di serie B, che fanno didattica perché non hanno fondi, «come sarebbe Messina». Lo Statuto, poi, «andrebbe modificato per rendere elettivo il Cda». Dugo invece ha ribadito come il ricercatore debba fare prima di tutto, appunto, ricerca e non didattica, visto che senza la prima non può esserci la seconda. Tra le novità più discusse della riforma Gelmini, come ha rilevato D’Amico, c’è poi la Fondazione, vista da non pochi come soggetto che finisce col mettere sotto tutela il rettore. «Una fondazione –ha sostenuto Navarra – può essere uno strumento utile. Ma non questa». «Il rettore è sotto tutela se vuole esserlo», ha chiosato Romano, mentre Cupaiuolo ha ribadito come la fondazione prevista dalla legge Gelmini sia «ben diversa da quella prevista dall’Università messinese». Dugo ha posto l’accento sulla necessità di strumenti che consentano un’azione amministrativa più celere, specie per la gestione dei fondi, come potrebbe appunto essere la Fondazione, mentre la Ferlazzo ha ritenuto prioritario il miglioramento dell’efficienza della struttura universitaria, specie nella rendicontazione. Un elemento importante è stato poi quello introdotto nella discussione dalle interviste agli studenti, vera linfa vitale del mondo universitario, che hanno fra l’altro auspicato una riduzione delle tasse di frequenza, ritenute troppo alte. Sull’argomento, però, nessuno ha potuto sbilanciarsi. Romano: «È una richiesta che andrebbe assecondata, per non perdere studenti ». Cupaiuolo: «Possiamo ridurle? Il bilancio in questo non è chiaro. Di certo dovremmo aumentare i servizi, come ad esempio le residenze, i trasporti gli spazi di socializzazione ». Dugo: «Spesso gli studenti pagano per servizi che non hanno, coma accade per i laboratori. Essenziale poi è recuperare l’evasione». D’accordo in questo anche Navarra: «Si parla di 4-5 milioni perduti ogni anno, inoltre altri Atenei hanno tasse oltre i limiti di legge, e questo è ingiusto». Anche per la Ferlazzo, poi, è difficile pensare di poter ridurre le tasse, più semplice è immaginare di migliorare la vivibilità degli spazi universitari. Inevitabile poi un passaggio sul Policlinico: per Cupaiuolo va ridimensionato il ruolo dell’azienda; per Dugo non solo i medici ma anche gli infermieri devono poter svolgere attività didattica; per Ferlazzo va recuperata la giusta interlocuzione con la Regione, mentre per Navarra occorre un contributo unitario e non più un rapporto «con un uomo solo». Anche Romano ha stigmatizzato la prevalenza «della componente assistenziale su quella universitaria.

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