Il palazzo “a rischio” nel cuore del centro commerciale di Messina – via Giordano Brunovia Nino Bixioviale San Martino–non è più soggetto a sgombero immediato. Nulla, però, di quanto denunciato e intimato dal Comune a fine anno, è mutato o è stato fatto per risolvere i problemi di sicurezza posti alla base dell’ordinanza comunale di sgombero firmata dal dirigente Signorelli e dal commissario Croce. Nella sostanza, dunque, la gestione del caso resta delicata, critica. La novità è che il Tar, al quale sia l’amministratore di condominio che svariati condomìni hanno fatto ricorso contro lo sgombero, con richiesta di sospensiva, ha accolto quest’ultima per un vizio di notifica dell’ordinanza. In sintesi: non all’amministratore doveva darsi l’ordine «di far sgomberare tutti gli abitanti-occupanti», ma, dopo un’esatta individuazione, il provvedimento andava notificato ai «singoli soggetti legittimati passivi» ovvero gli occupanti delle unità immobiliari a qualsiasi titolo: proprietari, possessori, occupanti «ai quali l’ordine dovrà essere rivolto». Si è trattato, dunque, di un vizio di forma del provvedimento su cui il giudizio di merito deve ancora iniziare, ma che per il resto non è stato intaccato dalla sospensiva: rifatte le notifiche ai sensi di legge, rivivrà pienamente l’ordine impartito dal Comune. Quello di «far eseguire immediatamente, sotto la supervisione di un tecnico qualificato di parte, tutti i lavori ritenuti necessari ed indispensabili alla messa in sicurezza e al ripristino delle indispensabili condizioni di sicurezza dell’immobile in oggetto, e dell’area privata e pubblica su cui lo stesso insiste». Ecco la posizione del Tar: «Riguardo all’ordine di messa in sicurezza, a prescindere da ogni valutazione sui dedotti vizi di carenza istruttoria, il Collegio non ritiene di poter accordare alcuna misura cautelare, in ragione delle prevalenti asserite esigenze di tutela della pubblica incolumità, e tenuto conto che il pregiudizio invocato dal condomìnio e dai singoli ricorrenti involge l’onere economico conseguente ai lavori di messa in sicurezza e potrà quindi, trovare adeguata tutela in sede risarcitoria ». Nessun dubbio, in questa fase, da parte del Tar, sul fatto che l’interesse alla tutela della pubblica incomunità (condòmini e cittadini) prevalga su quello degli stessi condomini a non subire un grave pregiudizio economico per le spese da sostenere, per cui il Tar ricorda le possibilità di tutela risarcitoria. Sono, però, «fatti salvi gli eventuali provvedimenti che l’amministrazione ritenga prudentemente di adottare ai fini della verifica della completezza dell’istruttoria fino ad oggi posta in essere, anche al fine di un adeguato bilanciamento delle esigenze di carattere pubblicistico e privatistico che nella presente fattispecie vengono in rilievo». Che si tratti di una vicenda complessa e assai dolorosa per le famiglie coinvolte, non solo economicamente parlando, è evidente, e quest’inciso in direzione di eventuali ulteriori istruttori lo dimostra appieno. Basti pensare che il costo globale dell’intervento di messa in sicurezza dell’edificio – progetto esecutivo pronto per l’appalto – si aggira intorno ai 2 milioni e 300.000 euro. All’origine di questo caso, che va avanti dagli Anni 90, ci sono accertamenti e perizie di Comune e Vigili del fuoco, consulenze tecniche d’ufficio del Tribunale civile e la prima sentenza parziale dello stesso. Una causa che prosegue in primo grado, incentrata sulle responsabilità all’origine della “situazione di pericolo per condizioni di dissesto del fabbricato”. Da una parte c’è la sopraelevazione dei primi Anni 90, giudicata illegittima dal Tribunale, nella prima sentenza parziale, e dall’altra la replica di chi addebita la principale causa del dissesto ai lavori interni successivamente eseguiti da una banca nel piano cantinato.
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