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Estorsione e usura,
sette condanne

Cambiano un po’ di cose in appello, a distanza di molti anni dai fatti, e a ben sette anni di distanza dal processo di primo grado, per l’operazione antimafia della polizia “Sole d’a utunno”, ovvero la morsa asfissiante della banda Tamburella negli anni ’90 lungo la zona sud. Guardando ai “numeri” il processo di secondo grado per i dodici imputati rimasti si è concluso con 5 dichiarazioni di prescrizione, 4 riduzioni di pena, 2 conferme di condanna e una conferma parziale di condanna. L’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale Maurizio Salamone, aveva sollecitato nei mesi scorsi la conferma delle condanne di primo grado e la prescrizione di tutti i reati d’usura contestati.

LA SENTENZA. Ecco quindi il dettaglio della sentenza. Hanno ottenuto la prescrizione di tutti i reati contestati Salvatore Borgia, Pietro Ruggeri, Alessandro Cutè, Gennarino Briganti e Rinaldo Giordano. Riduzioni di pena rispetto al primo grado hanno ottenuto invece Salvatore Mauro (10 anni di reclusione e 2.000 euro di multa), Giuseppe Scotto (6 anni, 8 mesi e 1.500 euro di multa), Giovanni Curreri (6 anni, 10 mesi e 1.500 euro di multa), Roberto Piccolo (in questo caso è stata esclusa l’aggravante di cui al primo comma dell’art. 416 bis c.p., ed è indicata in sentenza una condanna a 5 anni, che però è uguale a quella inflitta in primo grado). Conferme integrali delle condanne di primo grado hanno invece registrato Giuseppe Ventra e Carmela Catrimi, la moglie del boss Rosario Tamburella, mentre una conferma parziale con la dichiarazione di “non doversi procedere” per tre capi d’imputazione, ha registrato Salvatore Arena (in sentenza non è stata però quantificata la nuova pena). I giudici d’appello hanno anche confermato «i capi civili della sentenza impugnata» e hanno condannato «gli imputati alla rifusione, in solido, in favore delle parti civili costituite ».

IL PRIMO GRADO. Il processo di primo grado si concluse nel lontano dicembre del 2006. I giudici della seconda sezione penale del Tribunale, presieduta all’epoca da Bruno Finocchiaro e composta da Maria Teresa Arena e Maria Vermiglio, inflissero undici condanne per complessivi 74 anni e 8 mesi di carcere, e decisero tre assoluzioni totali, due prescrizioni del reato, e infine dichiararono il non doversi procedere per morte del reo nel caso di Tommaso Festa: fu ucciso e poi bruciato in un casolare sui Colli Sarrizzo nell’agosto del 2001, una fine atroce. Sempre in primo grado il collegio penale riconobbe il risarcimento del danno, da quantificare in un altro processo in sede civile, a due commercianti che furono vittime del “pizzo” imposto dal clan, e poi anche all’Asam, l’Associazione messinese antiracket e antiusura, che all’epoca si costituirono parte civile nel procedimento. Statuizioni queste confermate adesso anche in appello. Ecco quindi le condanne che furono inflitte in primo grado nel 2006: 13 anni, 6 mesi e 2.000 euro a Salvatore Mauro; 13 anni e 2.000 euro a Giuseppe Scotto; 10 anni, 10 mesi e 1.800 euro a Giovanni Curreri; 5 anni, 4 mesi e 1.200 euro a Giuseppe Ventra; 3 anni e 6.000 euro ad Alessandro Cutè; 3 anni, 6 mesi e 7.000 euro a Gennarino Briganti; 7 anni, 6 mesi e 6.000 euro a Salvatore Arena; 5 anni a Carmela Catrimi, la moglie del boss Tamburella; 5 anni a Roberto Piccolo.

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