Sono 680, anzi sarebbe il caso di dire “solo” 680, le domande pervenute al Comune nell’ambito del bando di assegnazione di alloggi di edilizia popolare, chiusosi nelle scorse settimane. Sempre tantissime, in effetti, a fronte dell’esiguo numero di alloggi, appena 25, che il Dipartimento Risanamento, recentemente affidato al nuovo dirigente dott. Carmelo Giardina, prevede di assegnare nell’anno in corso secondo una graduatoria che verrà compilata entro giugno. Ma notevolmente ridotte in confronto alle oltre 12.000 domande che erano confluite nell’ultima graduatoria, redatta nel 1994. Un fatto che può essere letto positivamente, come conseguenza della avvenuta sistemazione di un cospicuo numero di aspiranti assegnatari (soprattutto in immobili affittati privatamente: quelli collocati in alloggi pubblici sono solo la quota minore), oppure negativamente, come risultato di una più precisa definizione dei requisiti di accesso che ha lasciato fuori tutta una serie di precedenti richiedenti. Di certo, pur restando l’emergenza abitativa, essa si è notevolmente ridotta e la città può a questo punto proiettarsi verso una nuova stagione sotto il profilo della sistemazione urbanistica e della pacificazione sociale. I requisiti sono definiti dal Dpr 1035/72 e comprendono innanzitutto la residenza in baracca, la disoccupazione, il sovraffollamento rispetto al numero di componenti il nucleo familiare, il numero di figli, il basso reddito, l’intimazione di sfratto, la condizione di disagio, l’antigienicità dell’alloggio posseduto. Esclusi dalla partecipazione, invece, coloro che occupano abusivamente un alloggio popolare. E, dunque, nella prossima graduatoria non comparirà nessuna delle otto famiglie obbligate lo scorso giovedì al rilascio coattivo delle case del complesso Zancle, occupate senza titolo secondo il Comune. Alcuni dei nuclei familiari (composti da donne e bambini) da venerdì si sono sistemati a Palazzo Zanca, sui divanetti accanto all’ingresso del salone di rappresentanza, per manifestare tutto il loro disagio tra sacchetti di plastica, trapunte e occhi cerchiati. «Siamo solo tre famiglie su otto –racconta Caterina Lombardo –e questo già la dice lunga sulle reali condizioni di bisogno. Si vede che gli altri un’altra sistemazione ce l’hanno. Noi no e abbiamo sei bambini tra i due mesi e i due anni, oltre a due ragazzi più grandi che non possono nemmeno andare a scuola. Ci hanno infatti costretto a lasciare le case senza potere prendere nulla, nemmeno i biberon e il latte per i bambini. Che hanno potuto mangiare solo grazie alla carità dei vigili urbani, che ci hanno comprato l’occorrente, e dei nostri vicini di casa, che ci stanno tenendo i più piccoli e a turno ci ospitano per fare una doccia. Ma qui ci hanno vietato di farci portare da mangiare, e persino di mettere un lettino per i bambini». Giustamente, verrebbe da osservare, distogliendo per un attimo gli occhi dalla vista di una pallida bimbetta di tre anni addormentata sotto un plaid tra le braccia della mamma. «Anche ai cani randagi si trova un posto, ma a noi no – continua – Io so benissimo di essere abusiva: avevo un lavoro, facevo le pulizie per conto di una ditta che però è fallita e sono stata licenziata. Non ho i soldi per pagare un affitto e ho anche dormito in macchina. Poi, due anni, fa mi sono sistemata in quella mansarda che era libera. Ora, le nostre cose sono rimaste lì e presto tutto andrà in un deposito a S. Saba». Del problema ieri hanno discusso il commissario Luigi Croce e il presidente del consiglio comunale Giuseppe Previti, che ha sottolineato come il vero errore del risanamento sia stato quello di contare sui fondi della legge 10 «mentre invece per costruire dovrebbero essere impiegati i fondi ordinari, come si fa in altre città». Previti ha inoltre rilevato come non tutti i nuclei familiari si trovino nella stessa situazione: «Ci sono stati errori da parte degli uffici – spiega – perché una famiglia ha diritto all’assegnazione, mentre altre due hanno avuto una sentenza favorevole. Per le altre, ho chiesto al commissario di reperire un edificio, anche una scuola dismessa, per dare un tetto almeno provvisorio». Ma le famiglie hanno già detto no alla scuola di Catarratti e ad una casa famiglia a Giardini: «qui almeno – dicono – abbiamo l’acqua calda».