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Estorsioni del clan
di Iano Ferrara
Inflitte 3 condanne

tribunale messina

  Si è chiuso con tre condanne e quattro assoluzioni davanti alla seconda sezione penale del tribunale l’ultimo troncone processuale ancora aperto in primo grado per l’operazione antimafia degli anni ’90 “”Scacco Matto”, con al centro gli affari criminali del clan del Cep che all’epoca era capeggiato dal boss Sebastiano “Iano” Ferrara, da tempo collaboratore di giustizia. Il collegio presieduto dal giudice Rosa Calabrò ha inflitto 7 anni e mezzo di reclusione più 2.300 euro di multa al boss della zona sud Rosario Tamburella, e poi 5 anni e mezzo di reclusione e 600 euro di multa a Stellario Libro e Salvatore Comandé. Sono stati invece assolti da tutte le accuse contestate con la formula «per non aver commesso il fatto» Luigi Leardo, Francesco Prestipino, Rosario Morgante e Domenico Gurgone. Il blitz “Scacco Matto” scattò nella notte del 2 luglio 1996. Con la fondamentale collaborazione di alcune vittime del pizzo e con le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, tra cui lo stesso capo della “famiglia” del Cep, Iano Ferrara, vennero a galla i legami della criminalità peloritana con il clan catanese dei Cursoti: un’alleanza sfruttata anche per realizzare rapine in trasferta, in Lombardia. Sul piano locale venne squarciato il velo d’ombra e di silenzio su 9 rapine e venti casi d’estorsione, e si chiarirono anche movente ed esecutori dell’attentato alla “Gazzetta del Sud” del 9 dicembre 1981. Strettamente legata alla “Scacco matto” e l’altra inchiesta di quel periodo, denominata “Albatros”, scattata due ani dopo, nel 1998, per seguire la vita del clan Ferrara dopo il pentimento del suo capo. Sotto la lente della Distrettuale antimafia finirono un rosario di attentati, lettere anonime, telefonate minatorie, irruzioni nei cantieri con le pistole in pugno, capannoni e camion incendiati, sventagliate di mitra contro le saracinesche dei negozi. Ma non era solo denaro quello che gli uomini del clan Ferrara pretendevano da commercianti e imprenditori: accanto alla solita cifra “una tantum” spesso erano richieste somme mensili di “mantenimento”. Altre volte gli uomini di Ferrara entravano nei negozi, prendevano la merce e se ne andavano senza passare dalla cassa; in altri casi obbligavano i costruttori ad assumere i loro uomini, che così figuravano sul libro paga delle imprese e invece si dedicavano alla cura dei cavalli che Ferrara possedeva nelle stalle del Cep.

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