Sono 58 i comuni siciliani che hanno fatto ricorso alla finanza derivata, accumulando, complessivamente, debiti per tre miliardi e 180 milioni. In prima fila, i comuni di Catania, Messina e Siracusa. Da una indagine della Corte dei Conti per la Regione Siciliana risulta che «il rapporto tra capitale swappato (barattato, ndr) al 2009 ed il debito complessivo dell’ente nel 20% dei casi supera l’80%». Inoltre, nel corso dell’indagine, è emerso che spesso è stato corrisposto all’ente contraente un “premio di liquidità” che la Corte ritiene «forma atipica di indebitamento», non utilizzabile per il finanziamento della spesa corrente. «L’eventuale inosservanza del precetto di cui all’art. 119 della Costituzione – secondo i magistrati contabili – può determinare l’applicazione di sanzioni che prevedono la nullità dei contratti e la responsabilità amministrativa degli amministratori che hanno assunto la relative delibere. In particolare, 36 comuni, su 50, hanno incassato up-front relativamente a 39 contratti ». Ed è è emerso anche che «nel 33% dei contratti si registrano ‘up-front’ (anticipazioni, ndr) in misura percentualmente superiore all’1% del capitale nozionale. Le percentuali si collocano, in qualche caso intorno al 4,6% e al 6%, ma arrivano anche all’8,5%». Nel caso del comune di Catania, nel formalizzare il contratto, si è fatto ricorso ad opzioni con forte esposizione di rischio al rialzo del tasso di interesse. In altri comuni, cioè Torretta, Avola, Carini, Mazara del Vallo, Pace del Mela, Modica, Leonforte, Grotte e Messina, sempre secondo la Corte dei Conti, è stato accertato «l’utilizzo di opzioni digitali vietate dal Regolamento MEF n. 389 del 2003, consistenti nell’intro - duzione nel regolamento negoziale di uno spread anomalo, destinato ad attivarsi in corrispondenza del superamento dei valori soglia, con previsione di un costo aggiuntivo per l’ente. Il valore del mark to market è risultato negativo per 30 enti locali (29 comuni e una provincia), relativamente a 35 contratti (38%) e ammonta complessivamente a oltre 27 milioni di euro, di cui 22 milioni si riferiscono a due contratti stipulati dal comune di Messina. In ben 23 contratti, sottoscritti da 19 comuni (il 40%), il mark to market supera la soglia dei 30.000 euro. Il comune di Messina consegue il valore negativo più elevato in 2 contratti il cui mark to market supera, complessivamente, i 22 milioni di euro». In alcuni casi, poi, è stata rilevata «un’evidente sproporzione del rapporto tra valore di mercato (mark to market) ed il debito sottostante che, per il comune di Messina è di circa il 7%, mentre per quello di Augusta ha raggiunto quota 11%». Per i magistrati contabili, «un ulteriore profilo di rischio si lega al valore elevato dello spread, spesso superiore al 2,2%, oltre la differenza fra il costo originario del debito e il tasso swap di durata pari alla vita residua del debito». E fra le operazioni con maggiori problematiche vi sarebbero «quelle attivate dai comuni di Messina e Catania». Nel caso del comune di Messina si ricorda che, fra l’altro, sono stati estinti anticipatamente dei mutui con la Cassa depositi e prestiti, «tramite emissione obbligazionaria, con allungamento della scadenza del debito e contestuale chiusura di precedenti swap, sostituiti con tre operazioni rinegoziate con Dexia, Crediop e Banca nazionale del lavoro, complessivamente pari ad un nozionale di 211,8 milioni di euro, che hanno prodotto differenziali negativi per un totale di 4,8 milioni». In quanto al comune di Catania, secondo la Corte dei Conti, «le operazioni in derivati hanno interessato il totale debito dell’ente per un ammontare complessivamente pari a 416,4 milioni di euro con la corresponsione di un premio di liquidità di 7 milioni (1,7%). La struttura prevede la vendita di cap a favore della Banca con soglia al 5,5% e poi al 6%». Alcuni dei comuni indebitati dovranno pagare rate fino al 2036, a tutto discapito dei loro abitanti, che si vedranno ridurre servizi e investimenti. Per i magistrati contabili, qualcuno, avendone le competenze, avrebbe dovuto vigilare in via preventiva sulla “bontà” dei prodotti finanziari proposti ad amministratori spesso in difficoltà e sprovvisti di competenze. Né sta meglio la Regione, che tra il 2005 e il 2007 si è caricata un miliardo e 200 milioni di derivati con la Lehman Brothers (successivamente assorbiti dalla Royal Bank of Scotland), con la Nomura International Bank, la Meril Lynch, la Bnl, la Deutsche Bank e il Banco di Sicilia. Solo per l’anno in corso, e per smaltire un solo debito da 271 milioni, dovrà pagare circa 12 milioni di euro come rata sul capitale, 5 milioni e 337 mila euro come rata sugli interessi per un totale di 16 milioni e 422 mila euro. Ma si tratta di rate ad aumento progressivo, anno per anno, per cui nel 2021 dovrà sborsare 21 milioni 986 mila euro.