Ciascuno dentro di sé è consapevole di non esserlo, eppure ogni azione viene animata dall’inconscia convinzione di essere eterni, onnipotenti e, in quanto tali, certi che la vita possa sempre riservare una seconda chance. È tale meccanismo contorto, e per certi aspetti distorto, che alimenta però la capacità e la voglia di costruire, progettare, perché l’uomo è un essere non “programmato” per immaginare la fine. In questo esercito di “illusi”, c’è però una fetta di umanità che con la lenta agonia di quell’ “ombra” ci lavora quotidianamente e, proprio per questo, ha ben compreso l’importanza di dover godere al massimo di ogni istante. Angelo, Nunzia, Salvatore: questi nomi, che sui manuali di medicina troverebbero una definizione ben precisa, “malati terminali”, per Patrizia Giardina, responsabile dell’Hospice del Papardo-Piemonte, «prima di essere pazienti sono persone. È così che abbiamo sempre considerato coloro che decidono di ricorrere al nostro aiuto».