Lavoratori Triscele in presidio davanti allo stabilimento di via Bonino. A due mesi dallo scadere della Cassa integrazione che ha garantito un reddito (seppur minimo) alle 41 unità di personale che aspettano la ripresa dell’attività, i sindacati tornano a chiedere all’amministratore unico dell'azienda, Francesco Faranda, il Piano industriale dell’azienda che dimostri la reale volontà di riavviare la produzione.
Dopo la lunga e travagliata vertenza con la Heineken, proprietaria della Birra Messina, che alla fine del 2006 aveva annunciato la volontà di chiudere lo stabilimento di Via Bonino, trasferire a Massafra la produzione e quindi licenziare tutte le maestranze locali (circa 75 unità di personale), la famiglia Faranda, originariamente proprietaria sia degli stabilimenti che del marchio, si era proposta per riacquistare l’attività. Nell’ottobre del 2007 venne siglato l’accordo che scongiurò la chiusura dello storico stabilimento messinese e la perdita dei posti di lavoro, ma il marchio Birra Messina rimase di proprietà della Heineken che ha continuato a commercializzare birra con quel nome mentre i nuovi prodotti dello stabilimento messinese, la Birra del Sole e Patruni e Sutta, sotto il marchio Triscele, venivano lanciati con una forte campagna pubblicitaria. Nel frattempo una ventina di unità di personale erano andate in mobilità e la forza lavoro si era ridotta a circa 45 persone. Nel marzo del 2011, a distanza di appena tre anni dall’avvenuta acquisizione, l’amministratore unico Francesco Faranda annuncia il blocco della produzione di birra nello stabilimento di Messina per problemi legati alla produttività degli impianti definiti vecchi e obsoleti, proponendo al sindacato il licenziamento dei lavoratori, la messa in mobilità degli stessi.
Parte una dura protesta che porta all’accordo del 28 marzo 2011 all’Ufficio provinciale del Lavoro nel quale l’azienda accetta la proposta del sindacato del ricorso alla Cassa integrazione straordinaria per crisi finalizzata al processo di delocalizzazione degli impianti di via Bonino dove, ormai è chiaro, si intendono costruire immobili. La vertenza si complica quando, nel marzo 2012, le organizzazioni sindacali chiedono all’azienda l’avvio del confronto sul nuovo Piano industriale. La richiesta viene respinta e l’azienda intima che il Piano verrà presentato solo dopo il cambio di destinazione d’uso dei terreni dove sorgono gli stabilimenti. Cgil, Cisl e Uil rispondono con l’avvio di una iniziativa di lotta davanti ai cancelli di via Bonino mentre l’azienda risponde inviando le lettere di licenziamento ai 41 dipendenti. Si chiede l’intervento della prefettura di Messina che ottiene la revoca dei licenziamenti e l’utilizzo, sino al 31 dicembre 2012, della Cassa integrazione in deroga per i lavoratori.
Intanto prosegue l’iter per il cambio di destinazione d’uso dei terreni dove sorgeva lo stabilimento e in questi giorni si attende l’ultimo passaggio di natura formale, il Visto del CRU – Comitato Regionale Urbanistico. “Il silenzio dell’azienda ha determinato una forte preoccupazione nei lavoratori e nel sindacati che hanno deciso di avviare un quadro di iniziative di lotta sino ad una svolta positiva della vertenza”, spiegano Mastroeni, Cipriano e Orlando.Chiesta alla Prefettura la convocazione di un incontro alla presenza dell’azienda per avviare l’esame del nuovo Piano industriale. Sindacati e lavoratori ritengono, vista l’ormai prossima conclusione dell’iter del cambio di destinazione d’uso, non più rinviabile il confronto sul nuovo Piano industriale anche in considerazione della scadenza del 31 dicembre della Cassa integrazione e del concreto rischio di licenziamento per i lavoratori.