Messina

Venerdì 22 Novembre 2024

Quelle chiese
mai costruite

 

Marcello Mento
Nel 1931, nell'ambito dei programmi di ricostruzione della città, dopo il terremoto del 1908, vennero banditi due concorsi per la realizzazione di alcune Chiese a Messina e in Provincia.
Ad essi parteciparono buona parte degli architetti più in vista d'Italia in quel periodo, tra i quali Ettore Sottsass (che si era formato a Vienna), uno dei professionisti più in vista ed apprezzati del nostro Paese.Il progetto presentato da Sottsass (qui accanto) vinse - insieme ad altri tre concorrenti - il primo premio per quanto riguarda il progetto di sei chiese «senza una località precisa». Il fatto singolare è che - come ricorda Francesco Cardullo nel suo libro "La ricostruzione di Messina 1909-1940. L'architettura dei servizi e la città" -,«nessuno dei progetti vincitori nè a Messina né in provincia è stato realizzato». Non mancando di suscitare, com'era prevedibile, un acceso dibattito sui criteri architettonici e ideologici da seguire nella progettazione.Ma per quale motivo questi progetti, ed in particolare quello di Sottsass, non furono eseguiti? Perché, si disse, si avvicinavano pericolosamente ai modelli estetici delle chiese protestanti.Cardullo, da parte sua, non commenta, ma riporta, opportunamente, la parte più importante della relazione finale redatta dai due presidenti delle Commissioni giudicatrici dei concorsi, Marcello Piacentini ed Ernesto Calandra, che illustrano bene le ragioni che portarono a questa decisione: «Si sono riaccese discussioni teoriche astratte, determinate dalla tendenza generale dei migliori progettisti ad esprimere in modi più moderni il sentimento, secolare ma sempre rinnovantesi, della fede cattolica che li animava, studiando i problemi sempre rinnovati delle chiese: la loro stabilità in zone sismiche, i loro materiali, la loro tecnica, la loro illuminazione, per cui problemi estetici di visioni interne ed esterne possono essere ripresi con maggiore arditezza e con nuova suggestione. si sono riaffacciati i timori che anche da noi l'espressione esterna delle chiese, sotto la spinta dei nuovi esempi che diffonde il settentrione d'Europa si volgesse anote evangeliche protestanti. Si è temuto da una parte che le commissioni esaminatrici incoraggiassero troppo i tentativi neoformalisti, dichiarati interessanti ma poco religiosi; e dall'altra parte che fosse troppo propensa a gustare le soluzioni stilistiche, le proporzioni e le forme tradizionali ormai consacrate dall'uso fattone fin oggi».A bandire i due "Concorsi per progetti di Chiese" era stato il Sindacato nazionale fascista degli architetti su incarico di mons. Angelo Paino, vulcanico arcivescovo di Messina. A presiedere la prima commissione fu chiamato Marcello Piacentini, il progettista del Palazzo di giustizia, e di essa facevano parte anche Camillo Puglisi-Allegra e Francesco Barbaro, capo dell'Ufficio tecnico dell'Arcivescovado. La seconda era presieduta da Ernesto Calandra. Il 29 settembre 1932 vennero assegnati i premi. Per il progetto di sei chiese "senza una località precisa", dicevamo, vinsero il primo premio i progetti di Ettore Sottsass, di E. Montuori e F. Petrucci e quello di Mucchi. Il secondo fu appannaggio di G. Wittnech e Pane.Intanto, l'Ut dell'Arcivescovado aveva affidato la realizzazione di altre chiese a professionisti del livello di Francesco Valenti, Cesare Bazzani, Giulio Bargellini ed Aristide Sartorio. Un'altra serie di chiese, dallo stile piuttosto bizzarro e atipico, fu progettata da un frate carmelitano, ingegnere Carmelo Umberto Angiolini (tra di esse la chiesa di San Giuliano - con quel suo stile orientaleggiante -, San Pietro Paolo, San Luca, Santa Maria dell'Arco).La sostanziale bocciatura di quei progetti, parliamo di Sottsass perché è il più noto, non poteva però passare del tutto sotto silenzio, anche sotto il fascismo.Una eco di quello che dovette essere il tono della polemica lo abbiamo nell'intervento che sull'argomento fece, un anno più tardi, l'ing. Francesco Basile, su "Rinascita", la rivista del Sindacato fascista degli architetti di Messina, dal titolo: «Sull'architettura religiosa contemporanea».Basile parte dalla considerazione che un edificio religioso, sia esso una chiesetta modesta di campagna o una grande cattedrale, deve avere una sua essenza spirituale che predomini sui fini pratici. Attraverso l'opera l'artista «esprime e simbolizza i sentimenti e le idee che suggeriscono la comune fede e il vigore di essa».Basile sostiene, però, che questo non deve essere considerato un limite alla necessità di evoluzione dell'architettura religiosa e che non si poteva imitare passivamente i modelli del passato. «Si dimenticò - scrisse Basile - che ogni popolo crea i suoi templi nel suo gusto», ma soprattutto che non c'è stata mai «un'unità di stile architettonica religiosa» (romanico, gotico, barocco, etc.).Il professionista, poi, partendo dal fatto che anche in architettura nel XX secolo si era prodotto un profondo cambiamento, sostiene che «anche alte ragioni di fede imponevano di smettere ormai la copia passiva delle vecchie chiese». «Se ogni epoca - scrisse - ha avuto il suo stile per l'are sacra, non si comprende perché l'epoca nostra debba rinunciare agli sforzi per crearsi uno stile suo».Questa lunga premessa farebbe pensare che Basile avrebbe difeso i progetti premiati sì, ma messi da parte nei concorsi messinesi. E invece no. «Bisogna riconoscere, però - attacca -, che il movimento architettonico moderno nel campo religioso, con la ricerca esagerata della novità ad ogni costo, con la prevalenza di un certo gelido misticismo d'origine oltremontana, con esempi di falso moderno in cui si vedono apparire, trapiantate infantilmente da altri modelli in voga, motivi e ritmi incompresi, tutto ciò spiega talvolta la paura di forme nuove».

di Marcello Mento

 

Nel 1931, nell'ambito dei programmi di ricostruzione della città, dopo il terremoto del 1908, vennero banditi due concorsi per la realizzazione di alcune Chiese a Messina e in Provincia.Ad essi parteciparono buona parte degli architetti più in vista d'Italia in quel periodo, tra i quali Ettore Sottsass (che si era formato a Vienna), uno dei professionisti più in vista ed apprezzati del nostro Paese.Il progetto presentato da Sottsass (qui accanto) vinse - insieme ad altri tre concorrenti - il primo premio per quanto riguarda il progetto di sei chiese «senza una località precisa». Il fatto singolare è che - come ricorda Francesco Cardullo nel suo libro "La ricostruzione di Messina 1909-1940. L'architettura dei servizi e la città" -,«nessuno dei progetti vincitori nè a Messina né in provincia è stato realizzato». 

Non mancando di suscitare, com'era prevedibile, un acceso dibattito sui criteri architettonici e ideologici da seguire nella progettazione.Ma per quale motivo questi progetti, ed in particolare quello di Sottsass, non furono eseguiti? Perché, si disse, si avvicinavano pericolosamente ai modelli estetici delle chiese protestanti.Cardullo, da parte sua, non commenta, ma riporta, opportunamente, la parte più importante della relazione finale redatta dai due presidenti delle Commissioni giudicatrici dei concorsi, Marcello Piacentini ed Ernesto Calandra, che illustrano bene le ragioni che portarono a questa decisione: «Si sono riaccese discussioni teoriche astratte, determinate dalla tendenza generale dei migliori progettisti ad esprimere in modi più moderni il sentimento, secolare ma sempre rinnovantesi, della fede cattolica che li animava, studiando i problemi sempre rinnovati delle chiese: la loro stabilità in zone sismiche, i loro materiali, la loro tecnica, la loro illuminazione, per cui problemi estetici di visioni interne ed esterne possono essere ripresi con maggiore arditezza e con nuova suggestione. si sono riaffacciati i timori che anche da noi l'espressione esterna delle chiese, sotto la spinta dei nuovi esempi che diffonde il settentrione d'Europa si volgesse anote evangeliche protestanti. Si è temuto da una parte che le commissioni esaminatrici incoraggiassero troppo i tentativi neoformalisti, dichiarati interessanti ma poco religiosi; e dall'altra parte che fosse troppo propensa a gustare le soluzioni stilistiche, le proporzioni e le forme tradizionali ormai consacrate dall'uso fattone fin oggi».

A bandire i due "Concorsi per progetti di Chiese" era stato il Sindacato nazionale fascista degli architetti su incarico di mons. Angelo Paino, vulcanico arcivescovo di Messina. A presiedere la prima commissione fu chiamato Marcello Piacentini, il progettista del Palazzo di giustizia, e di essa facevano parte anche Camillo Puglisi-Allegra e Francesco Barbaro, capo dell'Ufficio tecnico dell'Arcivescovado. La seconda era presieduta da Ernesto Calandra. Il 29 settembre 1932 vennero assegnati i premi. 

Per il progetto di sei chiese "senza una località precisa", dicevamo, vinsero il primo premio i progetti di Ettore Sottsass, di E. Montuori e F. Petrucci e quello di Mucchi. Il secondo fu appannaggio di G. Wittnech e Pane.

Intanto, l'Ut dell'Arcivescovado aveva affidato la realizzazione di altre chiese a professionisti del livello di Francesco Valenti, Cesare Bazzani, Giulio Bargellini ed Aristide Sartorio. Un'altra serie di chiese, dallo stile piuttosto bizzarro e atipico, fu progettata da un frate carmelitano, ingegnere Carmelo Umberto Angiolini (tra di esse la chiesa di San Giuliano - con quel suo stile orientaleggiante -, San Pietro Paolo, San Luca, Santa Maria dell'Arco).

La sostanziale bocciatura di quei progetti, parliamo di Sottsass perché è il più noto, non poteva però passare del tutto sotto silenzio, anche sotto il fascismo.Una eco di quello che dovette essere il tono della polemica lo abbiamo nell'intervento che sull'argomento fece, un anno più tardi, l'ing. Francesco Basile, su "Rinascita", la rivista del Sindacato fascista degli architetti di Messina, dal titolo: «Sull'architettura religiosa contemporanea».

Basile parte dalla considerazione che un edificio religioso, sia esso una chiesetta modesta di campagna o una grande cattedrale, deve avere una sua essenza spirituale che predomini sui fini pratici. Attraverso l'opera l'artista «esprime e simbolizza i sentimenti e le idee che suggeriscono la comune fede e il vigore di essa».Basile sostiene, però, che questo non deve essere considerato un limite alla necessità di evoluzione dell'architettura religiosa e che non si poteva imitare passivamente i modelli del passato. 

«Si dimenticò - scrisse Basile - che ogni popolo crea i suoi templi nel suo gusto», ma soprattutto che non c'è stata mai «un'unità di stile architettonica religiosa» (romanico, gotico, barocco, etc.).Il professionista, poi, partendo dal fatto che anche in architettura nel XX secolo si era prodotto un profondo cambiamento, sostiene che «anche alte ragioni di fede imponevano di smettere ormai la copia passiva delle vecchie chiese».

 «Se ogni epoca - scrisse - ha avuto il suo stile per l'are sacra, non si comprende perché l'epoca nostra debba rinunciare agli sforzi per crearsi uno stile suo».Questa lunga premessa farebbe pensare che Basile avrebbe difeso i progetti premiati sì, ma messi da parte nei concorsi messinesi. E invece no. 

«Bisogna riconoscere, però - attacca -, che il movimento architettonico moderno nel campo religioso, con la ricerca esagerata della novità ad ogni costo, con la prevalenza di un certo gelido misticismo d'origine oltremontana, con esempi di falso moderno in cui si vedono apparire, trapiantate infantilmente da altri modelli in voga, motivi e ritmi incompresi, tutto ciò spiega talvolta la paura di forme nuove».

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