Il Comune non ci sta e passa al contrattacco. La sanzione comminata dal Viminale a Palazzo Zanca, uno dei 137 comuni italiani che hanno sforato il patto di stabilità, è di 7 milioni 52 mila euro, la più alta in Italia dopo la multa che s’è beccata Torino (oltre 38 milioni). Ma a Messina si fa sempre più forte la convinzione che quella sanzione non
la si debba pagare. A venire in soccorso al Comune di Messina e a tutti quelli siciliani entrati nella “black list” del Viminale (ci sono, tra gli altri, Barcellona Pozzo di Gotto, Trapani, Alcamo, Bagheria, Erice, Campobello di Mazara, Partinico, Sciacca, Tremestieri Etneo) una pronuncia della Corte costituzionale. Con la sentenza n. 178, depositata l’11 luglio scorso, la Corte ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale delle norme del decreto legislativo n. 118 del 2011 relative alle disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili in attuazione della legge sul Federalismo fiscale. Resta il problema di fondo, ossia il dato di fatto che il Comune, nel 2011, il patto di stabilità lo ha sforato. E lo ha fatto per oltre 28 milioni, 23 dei quali tirati fuori dalle casse di Palazzo Zanca come somme da anticipare per completare gli svincoli.
Completare l’opera – mettendo da parte le polemiche e i problemi venuti fuori in questi giorni – ha avuto un prezzo molto alto. Anche se va ricordato che proprio su quei 23 milioni è in corso un altro contenzioso, sempre al Tard el Lazio, perché secondo il Comune di Messina quelle somme, trattandosi appunto di fondi statali, seppur “virtuali”, non avrebbero dovuto essere calcolate ai fini dello sforamento o meno del patto di stabilità.
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