Meno dodici. Quando il countdown elettorale scende sotto le due settimane, automaticamente sale la tensione nei comitati di questo o quel candidato. Dovrebbe accadere lo stesso in città, ma il clima, per le strade, sembra meno torrido – politicamente parlando – di quanto non lo sia nelle segreterie o sui social. In realtà cresce la consapevolezza, da più parti, che quella messinese rischia di diventare una partita chiave nello scacchiere politico regionale e non solo. Gli osservati speciali sono tanti. Così come sono tante le sfide dentro la sfida, quella tra i candidati sindaco; i sottotesti di un racconto politico in evoluzione, tra coalizioni diverse e dentro le stesse coalizioni. Alcune di queste sfide sono palesi: su tutte quella del centrodestra. A differenza di quanto accaduto a Palermo, a Messina si è consumata una spaccatura che, giocoforza, è sotto i riflettori anche oltre Stretto. L’endorsement di Matteo Salvini a Federico Basile e, dunque, allo strappo di Nino Germanà, ha provocato scossoni e apre un caso che non si chiuderà certo il 12 giugno. Anzi, è facile prevedere, dopo quella data, una resa dei conti. A partire proprio dalla Lega, nella quale il segretario regionale Nino Minardo ha dovuto accettare a denti stretti la mossa di Germanà, scavalcato dal re delle preferenze Luca Sammartino (e anche questa è una sfida nella sfida, tutta interna al Carroccio siciliano). Così come non è passata inosservata la presenza di Antonio Catalfamo, capogruppo all’Ars della Lega, al fianco di Roberto Cerreti, assessore designato di Maurizio Croce, e dei candidati di Mli. Una Lega divisa (il coordinatore cittadino Nino Beninati si è dimesso in aperta polemica), che finisce per attirare l’attenzione di chi, su altri tavoli, sta giocando una partita ancora più complessa: quella per la presidenza della Regione. Fratelli d’Italia sponsorizza il Musumeci bis, non è un mistero. E non è difficile pensare che il voto messinese possa diventare una carta importante da tirar fuori a quel tavolo, nel caso in cui il ruolo della Lega dovesse risultare determinante per le sorti del “resto” del centrodestra. Anche perché non solo Prima l’Italia non corre insieme a Croce, ma lo fa al fianco del pupillo di un altro candidato alla presidenza della Regione (e nemico giurato di Musumeci), Cateno De Luca. Ecco perché dallo spoglio che inizierà il 13 giugno in tanti si attendono indicazioni importanti, nella sfida a distanza Lega-FdI, ma anche nelle sfide interne alla coalizione di Croce. In ballo, infatti, non c’è solo la fascia tricolore, ma la leadership del centrodestra messinese, con Francantonio e Luigi Genovese che puntano al “boom” di preferenze con la lista Ora Sicilia (al di là della modestia di rito mostrata sui social) per fare la voce grossa anche – se non soprattutto – in vista delle regionali. Osservati speciali, i Genovese, così come lo è Tommaso Calderone, che non l’ha presa bene quando alla lista di Forza Italia è stato soffiato, proprio da Genovese, il candidato di punta, Dario Zante. Ed è sembrato un messaggio chiaro, quello lanciato sui social da Calderone il 22 aprile scorso, proprio nel pieno della formazione delle liste: «Avevano assestato il colpo ma non avevano ben capito con chi avevano a che fare. Io vengo da lontano... da molto lontano. Ci vediamo la notte del 12 giugno. Chi ha orecchi per intendere, intenda». Insomma, ci si gioca tanto, si gioca tanto Calderone, si gioca tanto anche Beppe Picciolo, che con Genovese è stato il big sponsor di Croce e da una parte flirta con Forza Italia (all’Ars), dall’altra, a Messina, si accomoda sul “taxi Udc” che, ironia della sorte, nel 2017 fu utilizzato proprio da De Luca per approdare a Sala d’Ercole. Picciolo ha puntato tutto su Croce, guarda con attenzione alla corsa di Lagalla a Palermo e domenica si è goduto il pienone dell’hotel Royal: ora attende anche lui una “benedizione” dalle urne. Anche in casa centrosinistra c’è fermento, perché Messina, così come Palermo, è un test chiave, in vista delle Regionali, per l’alleanza Pd-M5S. Il segretario regionale Anthony Barbagallo ha scommesso tanto sul “campo largo” dei progressisti e le amministrative rappresentano il banco di prova più importante, immediata vigilia delle sempre più probabili primarie (sulle quali proprio il Pd è entusiasta, meno il M5S, ancora diviso sul tema). Le elezioni sono un test anche per valutare lo stato di salute dei due partiti principali, presi singolarmente: il Pd, appunto, in cui la leadership di Pietro Navarra è evidentemente uno degli elementi che fanno parte di questa campagna elettorale (del resto il candidato sindaco è il segretario cittadino del partito), e il M5S, che attualmente non ha una guida ufficiale a livello provinciale e dovrà fare i conti con l’eventualità, tutt’altro che remota, di una “carenza di posti”, rispetto alle ultime tornate elettorali, tanto alle prossime Regionali quanto alle Politiche del 2023. E poi c’è la partita di Cateno De Luca, senza la quale oggi si parlerebbe d’altro. L’ex sindaco porta avanti una doppia campagna elettorale, ma quella di Basile e quella verso Palazzo d’Orleans non sono due corse parallele: l’una è inevitabilmente intrecciata all’altra. Il risultato di Basile, per di più con sostegni via via sempre più “blasonati” (per utilizzare un termine caro a De Luca stesso), come quelli di Salvini e della new entry Dino Giarrusso, avrà un inevitabile peso specifico sulla campagna “meridionalista” di De Luca, e quindi sulla partita regionale prima e su quella delle Politiche poi. Per chi, con le dimissioni di febbraio scorso, ha deciso di fischiare il calcio d’inizio, questa è molto più di una partita: è la scommessa della vita. Politicamente parlando, s’intende.